✲Capitolo 15 - Hermione Granger✲
"Lust's passion will be served; it demands, it militates, it tyrannises." - Marquis De Sade
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La notte non mi lascia tregua.
Il sogno torna. Ancora. Sempre diverso, ma il protagonista è lo stesso.
Sempre lui.
Mi sveglio madida di sudore, il cuore che batte all'impazzata, le lenzuola aggrovigliate attorno alle mie gambe. Il mio respiro è affannoso, la mia pelle troppo calda, e quasi quasi penso di avere la febbre. Sento ancora il suo tocco su di me, la sua bocca, la sua voce roca sussurrarmi volgarità all'orecchio. Ogni dettaglio è vivido, dannatamente reale.
Mi porto una mano alla fronte, cercando di razionalizzare. Ma come si razionalizza qualcosa del genere? Non riesco a capire se mi sento più colpevole, confusa o... eccitata.
La verità è che non riesco a smettere di pensarci. Anche da sveglia. Anche adesso.
A lezione, faccio fatica a concentrarmi. Durante Incantesimi, sbaglio due volte un semplice Wingardium Leviosa, lo stesso Wingardium Leviosa che ho azzeccato al primo tentativo sette anni fa. Il professor Vitious mi guarda sorpreso, ma non dice nulla. Dei Tassorosso, visto che abbiamo lezione con loro, mi lanciano delle occhiate stranite che cerco di ignorare.
La lezione di Trasfigurazione è anche peggio. La professoressa McGrannit ci assegna la trasformazione di oggetti in animali, ma io non riesco nemmeno a cambiare un candelabro in un porcospino. La bacchetta mi trema in mano. Quando Malfoy passa dietro di me per tornare al suo posto, mormora con un sorrisetto: «Occhio a non cavarti un occhio da sola, Granger».
Lo fulmino con lo sguardo, ma lui ha già voltato l'angolo del banco, lasciandomi bollire nel mio fastidio. Non era neanche particolarmente offensivo. Ma il tono. Il tono era quello di sempre: insolente, ironico, e dannatamente, fottutamente attraente.
Durante il pranzo, evito di incrociare lo sguardo dei professori e vado a mangiare in fondo alla Sala Grande. Voglio solo un po' di silenzio. Ma anche da lì lo vedo, seduto tra i Serpeverde, che parla con Blaise e Theo. Ride. E ogni tanto, il suo sguardo vola nella mia direzione. O forse è solo la mia immaginazione.
La mia mente ultimamente gioca sporco.
Tanto sporco.
Nel pomeriggio, durante Pozioni, siamo costretti a lavorare in coppia. Lumacorno, ovviamente, mi assegna a Malfoy. Quando si siede accanto a me, sento il suo profumo — caffè, cologna schifosamente costosa, e qualcosa di più muschiato, più maschile — e maledico il mio corpo quando sento una sensazione di bagnato che si insinua tra le mie cosce. Mi sfiora la mano mentre prende il coltellino per tagliare gli ingredienti, e io trattengo il fiato.
«Nervosa, Granger?» mi sussurra senza nemmeno guardarmi.
«Solo infastidita».
«Mhm. E' quel giorno del mese?».
Lo ignoro, ma sento il sangue pulsarmi nelle tempie. Ogni scambio con lui è una provocazione nel mio corpo. E ogni volta, io rispondo. Dentro di me.
Nel pomeriggio cerco rifugio nella biblioteca, ma le parole sul libro si confondono nella mia testa, e alla fine decido di uscire. Cammino senza meta per i corridoi finché non arrivo al piano alto della torre ovest. Sento dei passi leggeri alle mie spalle, poi una voce tranquilla e sognante.
«Hai l'aria di chi ha fatto il sogno più strano o orrendo del mondo, Mione».
Mi volto. Luna mi guarda con la sua solita espressione eterea, ma c'è una gentilezza profonda nei suoi occhi chiari, simili a quelli di Malfoy.
«Cosa?» balbetto, colta alla sprovvista.
«I sogni sono importanti. Soprattutto quelli che persistono a tornare. Vogliono dirti qualcosa. Ad esempio, quando sogno i Nargilli, li vedo sempre al risveglio».
«I miei non vogliono dirmi niente. Vogliono solo confondermi».
Lei si avvicina, cammina accanto a me con passo leggero, i suoi piedi scalzi.
«È qualcuno che conosci?».
Abbasso lo sguardo. Non rispondo. Ma il silenzio è una risposta sufficiente da far capire chi.
«Non devi vergognarti. A volte il nostro inconscio vede cose prima di noi».
Scuoto la testa, ma le sue parole restano. E quel momento, così semplice, è la prima volta da giorni che mi sento compresa. Vista.
Camminiamo ancora un po' insieme, in silenzio. Poi Luna dice: «Se vuoi parlarne... io ci sono. Mi trovi vicino alla stalla dei Thestral».
La guardo. Non l'ho mai davvero considerata un'amica. Strana, certo. Diversa. Ma forse è proprio quello di cui ho bisogno.
«Grazie, Luna».
Lei sorride, e qualcosa dentro di me si scioglie.
Forse non sto impazzendo. Forse non sono sola.
Nel tardo pomeriggio, mentre sto sistemando i miei appunti vicino al camino della Sala Comune, arriva un gufo, un barbagianni albino. Un messaggio, piegato in modo preciso. Lo apro, aspettandomi un promemoria della McGrannit per i lavori assegnatoci, e invece leggo solo due parole in croce, vergate con una grafia sottile ed elegante:
'Torre di Astronomia. Dopo cena.'
Non serve firmarlo. So chi è. Il cuore mi salta un battito. Lo guardo per lunghi secondi, incapace di capire se gettarlo nel fuoco o tenerlo stretto. Il foglietto è colmo del suo profumo.
Alla fine, dopo cena, salgo, cercando di non farmi scoprire da Gazza e dalla sua gattaccia. Ogni passo rimbomba nelle scale a chiocciola, ogni respiro è un peso nel petto. Quando apro la porta della torre, la brezza serale mi accarezza il viso.
Lui è lì. Appoggiato al parapetto, lo sguardo verso il cielo.
«Pensavo non saresti venuta», dice senza voltarsi.
«Così pensavo anch'io, ma ho cambiato idea» rispondo, la voce più ferma di quanto mi aspettassi.
Si gira. E il suo sguardo mi colpisce dritto allo stomaco. Rimaniamo in silenzio per un attimo. Poi lui accenna un mezzo sorriso. «Ti sei persa la parte più bella del tramonto».
«Non sono venuta per guardare il cielo».
Lui socchiude gli occhi, come se stesse valutando le mie parole. «No? E allora per cosa?».
«Per capire cosa vuoi da me».
Si avvicina di un passo. Non troppo. Quanto basta per farmi sentire il suo calore. «Io? Nulla. Sei tu che continui a reagire a tutto ciò che faccio. Credo che anche se respirassi tu diresti qualcosa».
Vorrei negarlo. Ma non posso. Invece, alzo il mento.
«Perché mi hai chiamata qui?».
«Perché sei interessante quando non sai cosa dire».
Mi blocco. Lui fa un altro passo. Ora è più vicino. Sento il cuore in gola.
«Se vuoi andartene, vai», dice piano.
Potrei. Davvero. Eppure resto. «Sono solo arrivata per dirti che sei un idiota».
Lui si gira. Stavolta sorride davvero. «Bene. Cominciamo così, con gli insulti?».
«Non c'è niente da cominciare, Malfoy» ribatto, anche se la mia voce non ha la fermezza che vorrei. Mi sento esposta, vulnerabile, ma anche incredibilmente viva. I suoi occhi grigi mi scrutano con un'intensità che mi scuote da dentro.
«Eppure sei venuta» replica, facendo un passo verso di me. «Non riesci a deciderti, eh, Granger?».
«Non credere di conoscermi».
«No? Allora perché so che ci stai pensando anche adesso? Scommetto che stai ancora meditando se andartene o no».
Lo odio. Odio quanto abbia ragione. Quanto riesca a leggermi senza che io dica una parola. Ma soprattutto odio me stessa per il fatto che, nonostante tutto, voglio sentire di nuovo quel suo sguardo su di me.
Lui è a un passo da me ormai. Mi fissa, e io respiro a fatica.
«Dimmi che te ne vuoi andare» dice piano.
Resto zitta.
«Dimmi che non hai passato le ultime notti a a fantasticare su quel bacio».
Deglutisco. I miei pensieri sono un disastro. Il cuore mi batte troppo forte quasi da farmi crede che uscirà dal mio petto in un battito di ciglia. Le sue parole mi colpiscono, lente ma abili, centrando il bersaglio.
«Draco...».
È la prima volta che dico il suo nome ad alta voce così, senza rabbia. Lui lo nota. Si ferma, ma non si allontana.
«Non ci capisco più niente» confesso. «Mi sento come se stessi cadendo da qualcosa alto centinaia di metri. E tu sei lì, a guardare, senza fare nulla per fermarmi».
«Forse non voglio fermarti» dice.
E poi succede.
Non un bacio.
Non ancora.
Ma la sua mano morbida e calda sfiora la mia guancia. Leggera. Un contatto breve, ma sufficiente a mandare il mio cervello in tilt. Chiudo gli occhi un istante, come per focalizzare quel calore emanato dalla sua mano. Quando li riapro, i suoi occhi sono ancora lì, più scuri, più fissi.
«Sei un bastardo» mormoro, la voce spezzata tra confusione e desiderio.
«E tu una fottuta bugiarda» ribatte. «Ma non ti giudico per questo, tesoro».
Si gira, questa volta davvero. Fa due passi, poi si ferma e lancia uno sguardo dietro la spalla.
«Domani. Stessa ora. Se vuoi ancora dirmi che sono un idiota».
Poi se ne va, lasciandomi di nuovo lì, sola con la mia pelle ancora in fiamme dal suo tocco, i pensieri in tempesta e una consapevolezza nuova: che ogni volta che salirò su questa torre, sarà sempre più difficile tornare giù senza qualcosa di lui addosso.
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