✲Capitolo 16 - Draco Malfoy✲
"The best proof of love is trust." - Joyce Brothers
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Dormo poco, dormo male.
Quando mi sveglio, ho ancora addosso il peso della sera prima. Le sue parole, i suoi occhi. Il modo in cui ha detto il mio nome, come se stesse cedendo e resistendo allo stesso tempo.
Mi alzo dal letto prima di tutti. Una doccia veloce, uniforme impeccabile, ma gli occhi nello specchio non mentono: sono stanco. E carico. Di pensieri, di rabbia trattenuta. Di voglia.
In Sala Comune trovo Blaise, già pronto, intento a versarsi un caffè nero dalla caraffa incantata.
Non riesce proprio ad aspettare di salire alla Sala Grande.
«Sembri uno che ha dormito sul pavimento di Azkaban. Sei conciato di merda, amico».
«E tu sei un pappagallo già di prima mattina».
Lui sorride appena. Non mi fa domande. Sa che se ci fosse qualcosa da dire, lo direi. O forse no.
La prima lezione della giornata è Incantesimi. Per fortuna, niente Grifondoro e niente occhi color cioccolato fuso. Solo Corvonero. Il professor Vitious ci fa esercitare su un incantesimo avanzato di difesa, e io passo la maggior parte del tempo a osservare come la bacchetta scivola tra le mie dita, senza l'intenzione reale di usarla.
La mia mente, irrefrenabile come sempre, continua a tornare a lei.
A quel momento sulla torre in cui avrebbe potuto dirmi di andare a fare in culo, e invece è rimasta.
A pranzo evito i soliti posti. Non ho voglia di pettegoli che parlano di tutt'altro che dei fatti loro, né di sguardi degli studenti che ancora mi considerano feccia. Mangio in silenzio, il piatto mezzo vuoto davanti a me. Theo mi si siede accanto poco dopo, con la solita espressione da "so qualcosa che non sai".
«Blaise dice che stanotte hai avuto un incontro... interessante».
«Blaise dovrebbe imparare a tenersi la bocca chiusa».
«E tu dovresti imparare a non fare il misterioso se non vuoi che la gente si faccia idee. Le voci girano, amore».
Lo ignoro. Lui ride. La cosa lo diverte troppo.
Nel pomeriggio, ci trasciniamo a Hogsmeade per una pausa decisa all'ultimo. Blaise ha bisogno di nuovi guanti. Theo, come sempre, ha bisogno di cazzeggiare e rimorchiare.
«Scommetto che se le mandi un gufo con scritto "Scopami a sangue, Granger", viene» dice Theo, mentre camminiamo per i vicoli ancora umidi di neve.
«Non le mando niente» rispondo, stringendo il mantello contro il vento. «Verrà comunque. E non scoperemo. Quello dopo».
Blaise alza un sopracciglio. «Ti sei accorto che parli di lei come se fosse un dato di fatto?»
«Perché lo è».
La verità è che sto pregando persino Godric Grifondoro che ciò accada. Anche se non lo dico. Anche se fingo che sia tutto sotto controllo.
Alla fine del pomeriggio, con le mani fredde e indolenzite dal freddo di Novembre, ci separiamo. Loro restano a bere un ultimo bicchiere di Firewhiskey, mentre nel frattempo io torno al castello. Ho bisogno di tempo. Di silenzio.
E di prepararmi per stasera.
Dopo cena, sono sulla Torre prima di lei. Lo so che verrà. Me lo sento. La mia sicurezza non è arroganza. È una specie di intuito maschile.
Il vento è meno forte della sera prima.
Quando arriva, il cuore mi batte più forte. Non lo do a vedere, però.
«Sei puntuale» dico.
Lei non risponde subito. Mi guarda. E capisco, dalle borse sotto ai suoi occhi, che anche lei ha incontrato parecchie difficoltà ad addormentarsi la notte.
Sarà mica per lo stesso motivo mio?
Un colpo di vento le scompiglia una ciocca di capelli, proprio lì, sulla tempia. Non ci bada, e questa piccola imperfezione la rende stranamente indifesa, quasi... umana.
Cazzo, cosa mi combinerà questa dannata ragazza.
La luna piena le illumina il profilo dai tratti morbidi, la curva delle labbra che quasi un mese fa ho assaggiato, un errore che non riesco a scrollarmi di dosso.
Il silenzio tra noi è tesa come un filo di nylon, pronto a spezzarsi.
«Sei qui» constata lei, la voce un sussurro che il vento quasi si porta via.
«Sorpresa, Granger?» rispondo, sforzandomi di dare al mio tono un'aria di noncuranza, di scherno. Ma il suo sguardo non si stacca dal mio, e sento il calore di quegli occhi da cerbiatta bruciarmi addosso.
Fa un passo avanti, quel tanto che basta per farmi sentire la sua fottuta fragranza. Libri vecchi e rose, che mi ricordano quelle che mia madre era solita piantare nel giardino di Malfoy Manor.
«Oh, stai zitto. Odio la sola idea di stare nella stessa stanza in cui ci sei tu» ribatte, ma non c'è veleno nelle sue parole. Sento una punta di sfida, una scintilla che mi accende un fuoco nello stomaco, uno sciame di farfalle che svolazzano attorno le mie budella.
«E invece sei qui» le faccio eco, la voce più roca del previsto, tradendo un'emozione che vorrei seppellire con tutto il mio cuore.
I suoi occhi saettano alle mie labbra per un istante, un fottuto lampo che non mi sfugge. Il mio corpo reagisce di merda, il desiderio che mi rode le viscere da giorni si fa più forte, un'ondata di calore che mi fa stringere i pugni.
«Che vuoi, Malfoy?» chiede, scandendo il mio cognome come fosse una maledizione.
«Lo sai benissimo, Granger» rispondo, avvicinandomi ancora, quasi azzerando la distanza tra noi. I miei occhi scrutano il suo viso, cercando un indizio di quel che le passa per la testa. Vedo esitazione in quegli occhi color cioccolato, ma anche una fottuta scintilla, un'ombra di desiderio che mi fa incazzare perché la sento uguale alla mia.
Allungo una mano, lento, e le sfioro la guancia liscia come la seta. La sua pelle è gelida sotto le mie dita, dato l'impercettibile tremito che sento attraversarle la gota. Non si scosta. Il mio pollice le accarezza la tempia, sfiorando quei riccioli del cazzo, causa delle mie notti insonni.
«Non dovremmo essere qui» sussurra con un filo di voce.
«Lo so» rispondo, i miei occhi fissi nei suoi. «Eppure eccoci qui». Per la fottuta scommessa di Theo, mi ricordo. Solo per quella.
Appoggio la mia fronte contro la sua, il mio respiro che le sfiora le labbra. Il suo profumo mi entra dentro le narici, mi stordisce. Il cuore mi batte come un dannato, un ritmo assordante nel silenzio della notte.
«Quello che è successo al Ballo...» comincia, ma la interrompo, avvicinandomi ancora di più, le punte dei nostri nasi che si sfiorano.
«È successo, cazzo» le dico, la voce rauca per la finta eccitazione. Devo sembrare convinto, penso. Devo farle credere che la voglio, così la scopo e fine della scommessa, fine tutto. «E non riesco a togliermelo dalla testa».
I miei occhi scendono alle sue labbra, e non resisto. Le sfioro appena con le mie, un contatto leggero, di prova. Lei non si tira indietro. Anzi, sento un suo piccolo, fottuto sospiro, un'incertezza che interpreto come un invito per andare oltre.
Allora la bacio per davvero, aprendo un poco le labbra. Lei esita un secondo, poi ricambia, timida all'inizio, poi con un'intensità che mi spiazza. Le mie mani le stringono il viso, i pollici che le accarezzano la pelle morbida. Il suo sapore è dolce, dannatamente dolce, un misto di ciliegie e vaniglia.
Il bacio si fa più intenso, le nostre lingue si toccano, si cercano, si avvinghiano in una danza silenziosa e fitta di una passione che mi costa un'immensa fatica simulare. Sento le sue mani stringersi al mio mantello, tirandomi più vicino, come se avesse fottutamente bisogno di me.
Mi stacco di un soffio, il fiato corto. I nostri sguardi si incrociano di nuovo, e vedo nei suoi occhi un casino di emozioni: desiderio, esitazione, forse anche paura. Perfetto, penso. Il pesce sta abboccando l'amo.
«Malfoy...» sussurra ancora, il respiro che le esce da quelle labbra arrossate a scatti.
Non rispondo a parole. Invece, le prendo la mano e la porto al mio petto, facendole sentire il battito accelerato del mio cuore sotto la stoffa della camicia. Poi, la guido più in basso, fino alla fibbia dei miei pantaloni.
Il suo sguardo si fa improvvisamente scuro, le sue pupille dilatate dalla lussuria. Non ritrae la mano. Le sue dita restano lì, per un momento, sul metallo freddo, poi lo sfiorano appena.
«Sei sicuro di volerlo?» mi chiede, la voce un sussurro.
«Non sono sicuro di un cazzo, Granger» rispondo, la mia voce roca per la finta eccitazione. «So solo che non riesco a pensare ad altro.» E Theo non farà altro che rompermi i coglioni se non porto a termine questa merda di scommessa.
Le prendo di nuovo il viso tra le mani e la bacio, un bacio più urgente, quasi violento. Sento le sue labbra aprirsi sotto le mie, accogliendo la mia lingua nella sua bocca deliziosa. Le mie mani scivolano lungo la sua schiena, sentendo le scapole spigolose attraverso il mantello.
La tiro a me, annullando ogni fottuta distanza tra i nostri corpi. Sento il suo respiro farsi sempre più affannoso, il suo corpo tremare leggermente contro il mio. E in quel momento, su questa fottuta torre, so che non si torna più indietro. E che Theo mi pagherà i mille galeoni.
Le mie mani frugano sotto il suo mantello, trovando la stoffa ruvida della sua veste. La tiro a me ancora più forte, il suo corpo contro il mio, e sento un piccolo gemito sfuggirle dalle labbra. Un suono che mi fa bollire di desiderio il sangue nelle vene. Merda, penso. Non doveva succedere così in fretta.
Le bacio il collo, la mia lingua che ne assapora la pelle liscia, sentendo il suo battito accelerato sotto le mie labbra. Lei reclina la testa all'indietro, offrendomi più spazio. Le mie mani continuano la loro esplorazione, scivolando lungo la sua schiena fino a raggiungere la chiusura della sua veste. Le dita mi tremano leggermente mentre la slaccio, il tessuto che si allenta e scivola un poco, rivelando la curva della sua schiena.
«Draco...» sussurra il mio nome, un lamento spezzato che mi fa stringere i denti.
«Stai zitta, Granger» le ordino, la voce roca per il desiderio che mi sta fottendo dentro. Devo mantenere la calma. Devo ricordarmi che è solo un gioco, una presa in giro.
La sollevo leggermente, e lei intreccia le gambe attorno alla mia vita, stringendomi con una forza impressionante per una ragazza, anche se a tredici anni mi ha letteralmente spaccato il naso. La porto fino al parapetto freddo della torre e la appoggio lì, le gambe che le penzolano nel vuoto. Lei non protesta, anzi, si aggrappa alle mie spalle con le mani, le unghie che mi graffiano leggermente la schiena attraverso la camicia.
Le bacio di nuovo, un bacio famelico, possessivo. La mia lingua invade la sua bocca, e lei risponde con un'urgenza che mi manda in tilt. Sento le sue mani nei miei capelli, che tirano leggermente, e un gemito mi sfugge dalle labbra. Cazzo, penso ancora. Questa non è la fottuta recita che mi ero immaginato fare.
Mi stacco un istante, guardandola negli occhi. Sono scuri, dilatati, le pupille che quasi ingoiano l'iride color cioccolato fuso. Un desiderio pulsa lì dentro, un desiderio che non riesco a ignorare, perché, dannazione, lo sento al quanto ardente nel mio sangue.
«Fa freddo» dice lei, la voce un sussurro tremante che mi fa stringere la presa sui suoi fianchi.
«Mh» mugolo, e senza pensarci oltre, la sollevo di nuovo, portandola più all'interno della torre, in un angolo più riparato dove il vento non arriva a disturbarci. La faccio scivolare lentamente lungo il mio corpo fino a che i suoi piedi non toccano terra, sentendo il suo bacino premere contro il mio cazzo duro come la pietra.
Le mie mani tornano al suo corpo, sfilandole il mantello e poi la veste, le dita che tremano per la fretta. Lei fa lo stesso con la mia giacca e la mia camicia, le nostre mani che si scontrano, la pelle che si sfiora, creando scariche elettriche che mi fanno venire voglia di fotterla lì, in quel preciso istante.
Ci baciamo ancora, con più urgenza, più disperazione. Le mie mani le accarezzano la schiena nuda, sentendo ogni sua curva, ogni suo fottuto fremito. Le sue mani stringono i miei fianchi, tirandomi sempre più vicino, come se avesse una fottuta fame di me.
«Draco... ti prego...» sussurra contro le mie labbra, il fiato che le esce a scatti.
«Cosa vuoi, Granger?» le chiedo, la voce un fottuto rantolo mentre le mie dita scivolano sotto il bordo della sua camicia, sfiorando la sua pelle calda.
«Non fermarti...» dice, e quelle parole mi danno il fottuto permesso di cui il mio corpo ha un bisogno disperato.
La sollevo di nuovo, e lei avvolge le gambe attorno alla mia vita, la sua fottuta figa che preme contro il mio cazzo che pulsa come un tamburo impazzito. La porto fino a un vecchio baule di legno scuro e la adagio lì sopra, le sue gambe aperte, offerte.
Le bacio il collo, poi le spalle, scendendo sempre più in basso, la mia lingua che lascia una scia umida sulla sua pelle. Le sue mani mi guidano, mi spingono, tirando i miei capelli, graffiandomi la schiena. Non ci sono più parole, solo gemiti, sospiri, il rumore dei nostri corpi che si sfregano, il suo respiro che si fa sempre più corto.
Mi slaccio i pantaloni in fretta, la fretta dettata da un bisogno primordiale che mi sta accecando. Lei mi guarda, i suoi occhi fissi nei miei, e non c'è più traccia della vecchia Granger, della fottuta so-tutto-io. Solo una lussuria bruciante, una necessità reciproca che mi fa dimenticare tutto il resto.
Mi posiziono tra le sue gambe, il mio cazzo duro come il granito che pulsa contro la sua entrata stretta. Lei geme e si contorce leggermente, aprendosi di più per me, offrendomi la sua intimità gocciolante.
Invece di entrare subito, scendo con la bocca sul suo collo, baciandola e mordicchiandola, sentendo il suo corpo inarcarsi sotto il mio tocco. Le mie mani scivolano lungo le sue cosce e poi dentro le mutandine, aprendole ancora di più, rivelando il suo sesso umido e pulsante.
Lei ansima, il respiro che le si spezza in piccoli gemiti eccitati. Non mi fermo. Le sfilo gli slip ormai fradici e abbasso la testa, la mia lingua che le esplora la sua fottuta figa, assaporando il suo sapore dolce e selvaggio. Lei geme ancora di più, le mani che si stringono nei miei capelli, tirandoli. Non me ne frega un cazzo del dolore che dovrei provare. Voglio solo darle piacere, voglio sentirla impazzire sotto il mio tocco.
Continuo a leccare e mordere, le mie dita che si insinuano tra le sue fottute labbra umide, massaggiando il suo clitoride gonfio. Lei geme ancora, il corpo che trema, le gambe che si stringono attorno alla mia testa. Sento le sue fottute contrazioni, il suo piacere che si fa sempre più intenso.
Quando sento che sta per venire, alzo la testa, guardandola negli occhi. Sono spenti, persi nel piacere, e un piagnucolio fuoriesce da quelle labbra rosee e invitanti.
«Ancora... ti prego...» sussurra, la voce roca e implorante.
Le mie dita continuano a muoversi, veloci e decise, fino a che lei non urla, il corpo scosso da violente scosse di piacere. La sento fottutamente bagnata, calda, e il mio cazzo pulsa ancora più forte. Quasi temo che possa esplodere.
Mi sposto di nuovo, posizionandomi tra le sue gambe. Le guardo la fottuta figa liscia e gocciolante, e la mia erezione si fa quasi insopportabile. Le prendo le gambe e le sollevo, appoggiandole sulle mie spalle.
«Sei pronta?» le chiedo, la voce roca per l'eccitazione.
Lei annuisce, gli occhi chiusi, il respiro affannoso.
Senza esitare, spingo il mio cazzo nella sua figa stretta. Lei geme, un suono che è metà dolore, metà piacere. Mi fermo un istante, dandole il tempo di abituarsi alla mia presenza invasiva. Poi inizio a muovermi, lentamente all'inizio, assaporando le sue pareti morbide attorno a me.
Continuo a spingere, sempre più forte, sempre più veloce, il suo corpo che si muove frenetico sotto il mio. I suoi gemiti si fanno urla, il suo respiro un rantolo. La sua fottuta figa si contrae attorno al mio cazzo, stringendomi forte, spingendomi ancora più vicino al limite.
Sento il mio seme spingere, facendomi pulsare il cazzo, pronto a esplodere. Un gemito rauco mi sfugge dalla gola. Spingo un'ultima volta, profondo, sentendo la sua stretta farsi ancora più intensa, e poi la perdo. Il mio seme si riversa dentro di lei, caldo, riempiendola quasi fino all'orlo.
Rimango immobile per un istante, il fiato corto, il cuore che batte all'impazzata. Lei mi stringe ancora, le gambe avvolte attorno alla mia vita, il suo corpo madido di sudore contro il mio.
Lentamente, esco da dentro di lei, sentendo la sua mancanza. La guardo. I suoi occhi sono socchiusi, le labbra gonfie e rosse. E' così sexy vederla ridotta in questo stato.
Mi tiro su i pantaloni in fretta, sentendomi stranamente vuoto. Lei rimane lì, sul baule, a fissare il soffitto. Nessuno dei due dice niente per un lungo momento.
Il silenzio è rotto solo dal nostro respiro affannoso e dal vento che ulula fuori dalla torre. Un vento freddo, che mi riporta bruscamente alla realtà. Alla fottuta scommessa. A Theo che aspetta i dettagli, probabilmente nella Sala Comune.
«Devo andare» dico, la voce rauca.
Lei non si muove, non mi guarda.
«Granger?»
Finalmente i suoi occhi si posano su di me. Non c'è traccia del piacere di pochi istanti fa. Solo... vuoto. Un vuoto che rispecchia il mio.
«Vattene, Malfoy» dice, la voce spenta mentre anche lei comincia a rivestirsi.
Annuisco, senza aggiungere altro. Mi volto e mi dirigo verso la scala a chiocciola, lasciandola lì, sola nel freddo della torre.
L'ho fatto. Ho portato a termine la scommessa. Ma la vittoria ha un sapore amaro. E il vuoto che sento dentro è qualcosa di molto più simile alla sconfitta.
Fuori, la notte è ancora scura. Tiro un sospiro e mi incammino verso i sotterranei; il peso di quello che è appena successo che mi grava sulle spalle. E una fottuta, insopportabile domanda mi martella la testa.
Cos'ho appena fatto?
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